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“Oggi che siamo sempre connessi, ci sentiamo più soli che mai.”

Viviamo nell’era di internet, uno strumento che può accorciare le distanze geografiche, grazie al quale possiamo informarci e interagire. Ma in un mondo in cui è possibile essere sempre connessi, condividere (ingenuamente) ogni aspetto della nostra vita, comunicare con sconosciuti, trovare qualsiasi cosa vogliamo con un click, la Rete è anche una possibile trappola. A chi non è mai capitato di vedere persone sedute allo stesso tavolo intente a osservare lo smartphone piuttosto che intavolare una conversazione? La nascita della sceneggiatura di “Disconnect” si deve proprio ad una di queste scene, che ha colto l’occhio dello scrittore Andrew Stern. Sceneggiatura che ha colpito i produttori proprio per l’aderenza alla realtà odierna.

Il film racconta del bisogno di comunicare che tutti abbiamo, e del nostro modo di farlo tramite computer o smartphone, piuttosto che in maniera diretta con le persone che abbiamo intorno. La pellicola, presentata fuori concorso alla 69° Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, prevede un cast interessante: Alexander Skarsgard, Frank Grill e Jason Bateman. Siamo catapultati nella vita di diversi personaggi, collegati in qualche modo tra loro: un avvocato che vive incollato al cellulare, una coppia in crisi che usa internet come valvola di sfogo, un ragazzino che pratica cyber-bullismo contro un coetaneo più sensibile, una giornalista che vuole usare la storia di un ragazzo che si esibisce in una chat hard. Il regista dell’opera è Henry Alex Rubin che, per la prima volta, si cimenta in un lungometraggio di finzione.

Scelta non casuale, vista la tematica attuale del film, che infatti ha molte caratteristiche tipiche del documentario: Rubin concede agli attori moltissimo spazio, letteralmente e figurativamente. La cinepresa è distante e molto spesso viene usata una ripresa zoomata, da documentario, il che ha regalato alle scene naturalezza, come se lo spettatore stesse spiando sprazzi di vita vera. Massimo realismo anche per gli attori, poco truccati e che in qualche caso improvvisano i dialoghi.
Tra le storie che si intrecciano sullo schermo quella che risulta più approfondita risulta essere il dramma della famiglia Boyd: il figlio minore Ben, artista solitario, viene preso di mira da un cyber-bullo e i genitori troppo occupati per rendersene conto si risvegliano troppo tardi. La vicenda è descritta in maniera delicata ed è l’unica che descrive in maniera completa i personaggi principali, in particolare il padre interpretato da un sorprendente Jason Bateman, che siamo abituati a vedere in ruoli comici, ma che in questo film è particolarmente intenso. Gli avvenimenti si susseguono uno dopo l’altro, in un climax che culmina con un momento di violenza, che il regista ha voluto rappresentare attraverso un lungo rallenti. Quello che colpisce in “Disconnect”, è il fatto che la pellicola sembri proprio che stia parlando di noi, della nostra vita. Le situazioni in cui si trovano i personaggi, sono quelle che potrebbero capitare a tutti.
Il film pone diverse riflessioni nella mente dello spettatore, il quale, appena uscito dalla sala non può fare a meno di pensare ad abbandonare o ridimensionare la sua presenza nel mondo virtuale. Inoltre, l’andamento del film è molto coinvolgente e fino all’ultimo si rimane incollati allo schermo per scoprire l’esito finale delle tre vicende. Le tre storie sono tutte molto credibili ma anche dolorose. Internet è nelle vite di tutti noi in una misura spesso oggettivamente spropositata e fuori controllo. Questa dipendenza dalla rete diventa ancora più pericolosa quando coinvolge i minorenni. Le storie di Ben e di Cindy e Derek, ci riguardano tutti molto da vicino, il cyber-bullismo in modo particolare, è una dolorosa realtà di cui leggiamo i tristi esiti sul giornale. Dal finale, per quanto possa sembrare banale, sarebbe bene trarre un insegnamento: nessuna delle tre vicende si chiude, ma ognuno dei personaggi, cercando una soluzione alla propria condizione, si riavvicina alle persone che ama e dalle quali aveva preso le distanze, per colpa del lavoro o degli eventi tragici della vita. Il vero rifugio quindi, non può essere oltre lo schermo di un pc, ma nelle persone che ci sono vicine.
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La sala fu costruita nel 1960 ad opera di Padre Giovanni Piccirilli sacerdote O.M.V. insieme all'aiuto degl'isolani. Il Cineteatro San Gaetano è dislocato nella Contrada di Scauri. Inizia la sua attività cinematografica e teatrale nell'anno 1961 e gli Oblati di Maria Vergine si occupano direttamente della gestione della sala.

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