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Tema delicato quello della tossicodipendenza, ancor di più se lo si lega ai modi che vengono adottati per contrastarla. Il dibattito recente su tali argomenti si è riacutizzato dopo l’uscita di “Sanpa”, la mini serie prodotta da Netflix volta a raccontare la vita di Vincenzo Muccioli, il fondatore della comunità di San Patrignano. La storia parte dal comune di Coriano, un piccolo borgo nel riminese, dove un proprietario agricolo locale decise di aprire il proprio podere a qualche decina di ragazzi con gravi problemi di dipendenza riuscendo a ridar loro la vita che andavano sprecando. I metodi adottati da Muccioli sono singolari ma portano ad enormi risultati: gli ospiti di quella che dal 1978 sarà riconosciuta come comunità non possono ricevere visite per più di un anno, non possono in alcun modo contestare le decisioni prese dal fondatore della stessa e, una volta entrati, non possono uscire senza aver prima ricevuto il consenso di Muccioli.
Ci rendiamo conto che alla sola letture di queste semplici regole sembra di trovarsi di fronte ad un qualcosa di abominevole ma, per provare a comprendere, è necessario contestualizzare il tutto: negli anni ’70, in Italia e non solo, lo Stato si trovava a far fronte al boom dell’eroina e molti giovani, una volta entrati nel tunnel delle dipendenze, non avevano alcun modo di esser aiutati se non con il metadone, unica sostanza allora concessa dall’amministrazione pubblica per contrastare i propri demoni. Ciò che Muccioli fece al tempo fu una vera e propria rivoluzione, a maggior ragione se si pensa che l’assistenza veniva offerta senza richiedere alcuna somma economica in cambio: non a caso, da poche decine, nel ’94, gli ospiti di San Patrignano arrivarono ad essere quasi 2000 unità. Il boom mediatico della comunità fu totalmente associato alla figura dello stesso Muccioli il quale, negli anni, diventò una vera e propria star mediatica tanto da essere vociferato come possibile ministro della Salute. Proprio in concomitanza con tale popolarità per San Patrignano iniziarono i problemi: rumors insistenti volevano che nella piccola terra utopistica, dove gli ex tossici aiutavano i tossici a redimersi, ci fossero dei lati molto oscuri.
Punizioni corporali, uomini e donne legati con catene d’acciaio e settimane di completo isolamento erano quello che potevano spettare a chiunque fosse andato contro le regole della comunità. Nell'ottobre 1980 una perquisizione dei Carabinieri nella struttura portò alla luce la scoperta di alcuni ospiti incatenati e rinchiusi in un canile. Vincenzo Muccioli venne arrestato e si aprì un processo per maltrattamenti e sequestro di persona (il "processo delle catene") che ebbe un vasto eco sui giornali dell'epoca. Il processo si concluse in primo grado con la condanna a 18 mesi di reclusione, mentre in appello Muccioli venne assolto con sentenza confermata nel 1990 dalla Cassazione. Il processo giuridico fu però accompagnato da quello mediatico con l’opinione pubblica che si spaccò in due fazioni: coloro che non accettavano la metodologia di San Patrignano contro coloro che, basandosi sui fatti, ritenevano il metodo di Muccioli l’unico efficace per contrastare una delle più grandi pieghe sociali dell’epoca.
Mentre imperversava tale dibattito la Fondazione, riconosciuta tale dal 1986 in seguito alla cessione a titolo gratuito di tutte le proprietà immobiliari della famiglia Muccioli alla comunità, fu colpita da un ulteriore scandalo: il 7 maggio 1989 venne ritrovato a Terzigno, provincia di Napoli, il cadavere di un ragazzo ospite delle strutture di San Patrignano, Roberto Maranzano, ucciso con percosse. Due anni più tardi, in seguito alla confessione di un testimone, emerse che il giovane fu ucciso a bastonate da tre ospiti della Fondazione nel reparto macelleria. Per depistare le indagini il cadavere fu trasportato in auto nel Sud Italia, cercando di far passare l'idea di un delitto legato alla criminalità organizzata. Fu istituito un nuovo processo dove Muccioli fu assolto dal reato per omicidio colposo in conseguenza al non aver commesso il fatto.
Fu condannato invece in primo grado a 8 mesi per favoreggiamento, ma gli fu riconosciuta l’attenuante de: “L’avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale”. In parole povere, la difesa di Muccioli si concentrò sul fatto che il riminese non avesse denunciato alle autorità competenti l’omicidio per timore di perdere la fiducia dei propri ragazzi. Non seguì la condanna in appello per la morte il 19 settembre 1995 del presunto reo. Negli anni successivi vennero alla luce alcuni suicidi, come quelli di Natalia Berla e Gabriele De Paola, avvenuti nella primavera dell'89, e quello di Fioralba Petrucci, risalente al giugno 1992. Tutti e tre si suicidarono mentre si trovavano in clausura punitiva all'interno della comunità, gettandosi dalle finestre delle stanze in cui erano chiusi.
Nel corso del processo diversi giovani ospitati nella Comunità hanno raccontato di violenze e di soprusi subiti, di misteriosi suicidi e di tangenti. Gli imputati per questo processo sono stati assolti con sentenza dell’11 giugno 2001 del Tribunale di Rimini “perché il fatto non sussiste”. Arrivati alla fine della mini serie rimane l’angosciosa domanda: come considerare la figura di Muccioli? Padre padrone, responsabile della morte di essere umani oppure salvatore di migliaia di vite?
La risposta non è delle più semplici, anzi, forse la risposta non esiste proprio. Possiamo affidarci solo al fact checking e alle parole di chi sa cosa è stata San Patrignano e cosa, in seguito, è diventata. I fatti ci dicono che dal 1978 la comunità ha offerto a 26mila persone la possibilità di una casa, l'assistenza sanitaria, assistenza legale, la possibilità di studiare, di imparare un lavoro e di rientrare in società. Nel 2017 il SROI (Social Return On Investiment) ha effettuato la misurazione dell’impatto sociale di San Patrignano per ogni singolo euro investito nelle sue attività: ogni euro investito ha dato un ritorno di 5,21 euro in valore sociale.
Per quanto riguarda invece le testimonianze di chi ha frequentato la struttura abbiamo deciso di lasciarvi con le parole di Fabio Cantelli, ex tossico e collaboratore di Muccioli, era il suo responsabile della comunicazione, che dopo anni di contrasti con la figura di un uomo che ne ha segnato la vita sembra aver fatto pace con se stesso restituendoci una massima fedele su cosa sia stata San Patrignano:
“Ci sono regioni della vita in cui vita e morte sono così intrecciate che concetti come libertà, volontà, male, bene vanno rivisti e bisogna avere il coraggio di non usarli come assoluti”
Ad ognuno di noi ed alle relative sensibilità va il senso della lettura di queste parole.