Quante cose mi ha portato via il Covid
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20 APRILE 2021 - IL TEATRO AI TEMPI DEL COVID
Ai più appassionati sicuramente manca lo sgranare gli occhi per divorare la bellezza di ciò che accade in scena. Manca il calore sulle mani per un applauso che è abbraccio. Manca il respiro dell’attore, all’attore credo manchi quello del pubblico. Semplicemente manca il teatro, spazio in cui si partecipa alla poesia che si fa corpo, relazione, contatto emotivo, sudore, respiro, gesto, lacrime, fatica, gioia e dolore. Questa è la condizione del teatro, questa è la condizione della vita. Questa è la condizione che il Covid-19 ci sottrae, che il Coronavirus ha cancellato. Un anno fa chiudere i teatri è stato il primo atto necessario, consapevole, doloroso nei confronti di una tutela della salute dei singoli e dei molti, il primo atto di un dramma che si sta ancora compiendo nelle nostre case, che ha come scenario le strade, le piazze o gli stessi palchi di un teatro all’italiana per interrogarci sulla scena vuota di un’umanità sotto assedio. Ma il teatro non si è fermato, almeno ha tentato e facendolo attraverso i media, attraverso i social.
Ne sono un esempio la lettura/maratona della Coscienza di Zeno di Italo Svevo, realizzata dagli attori di ERT, piuttosto che l’appuntamento di Lino Guanciale con la lettura del Barone rampante e – ancora sotto l’egida di Ert – dell’Orlando furioso. Federica Fracassi legge Conversazione con la morte di Giovanni Testori, piuttosto che la peste dai Promessi sposi di Alessandro Manzoni. Luca Ricci di Kilowatt Festival ha lanciato l’appuntamento con C’era due volte il barone Lamberto coinvolgendo nella lettura fra gli altri Oscar De Summa, Elena Bucci, Silvia Gribaudi, Sotterraneo, Giorgio Rossi, la visionaria Gilda Foni, Paolo Cantù, I Sacchi di Sabbia. Si tratta di una ricerca di normalità che accomuna tanti, quella normalità prima del 22 febbraio 2020, una normalità che non sarà più tale. É stato detto a più riprese di come il Covid ci ha cambiati, ci cambierà e con noi cambierà anche il concetto di normalità, impegnati a inventarci una nuova normalità che ora corrisponde a godere delle reliquie di un teatro in vitro, a godere di quel rito sociale della scena che appartiene a epoche lontane.
Il teatro si realizza ed è perché si compie in presenza, nel qui ed ora di un attore e uno spettatore che a contatto condividono il racconto possibile di un mondo, condividono la relazione, la loro vicinanza, si annusano, si studiano, si toccano con lo sguardo, percepiscono la temperatura dei loro corpi. Tutto questo non passa nel video, tutto questo non accade nella pur lodevole sfilza di letture sceniche, di spettacoli riproposti in video. Istintivamente la mano si avvicina allo schermo del computer o del tablet per toccare, vuole il contatto fisico, quel contatto fisico, quell’abbraccio, quel bacio, quel respiro che è negato non solo al teatro, ma soprattutto alla nostra quotidianità. È per questo che la mancanza del teatro riflette più che mai la condizione presente, la condanna che infligge il Coronavirus. Per questo il teatro oggi più che mai è rappresentazione della nostra vita quotidiana, è il distillato reale e vero – nella finzione del porsi e dell’agire – dell’autenticità dello spirito e dell’anima dell’humanitas. Ma di certo arriverà il momento in cui le piazze d’Italia e del mondo e le platee dei teatri torneranno a riempirsi e ci scopriremo di non essere più gli stessi… .
Articolo a Cura di: Gianluca Rota