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QUANTI MORTI DOVREMO ANCORA SOPPORTARE?
Una giornata di lutto per tutta la Toscana, in memoria di Luana D’Orazio ma anche di tutte le vittime sul lavoro. Lo ha disposto la Regione per oggi, lunedì 10 maggio, in occasione dei funerali della giovane 22enne pistoiese morta lunedì scorso in una fabbrica tessile di Montemurlo (Prato). Il drammatico caso della morte di Luana D'Orazio accende nuovamente i riflettori sulle morti bianche in Italia, ancora troppe e spesso dovute alla mancanza delle misure di sicurezza, come denunciano i sindacati.
Il quadro tracciato dall'Inail sul primo trimestre del 2021 parla chiaro: le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale presentate all'istituto entro il mese di marzo sono state 185, 19 in più rispetto alle 166 registrate nel primo trimestre del 2020 (+11,4%), effetto, sottolinea l'Inail, degli incrementi osservati in tutti i mesi del 2021 rispetto a quelli del 2020. In sostanza due persone ogni giorno muoiono mentre fanno il loro lavoro. A livello nazionale i dati rilevati dall'Inail al 31 marzo evidenziano per il primo trimestre un decremento solo dei casi in itinere, mentre ci si reca sul posto di lavoro, passati da 52 a 31, mentre quelli avvenuti durante il turno sono stati 40 in più (da 114 a 154).
A questo proposito facendo riferimento al mondo dello spettacolo, quello più vicino al nostro contesto, sono tanti gli operai che hanno pagato con la vita gli errori di altre persone. Un esempio è il caso di Matteo Armellini, l’operaio specializzato nel 2012 morto schiacciato dal palco che stava montando per il concerto di Laura Pausini a Reggio Calabria, è stato ammazzato e i responsabili sono i vertici delle società che hanno organizzato l’evento. A marzo la Cassazione ha confermato le condanne per omicidio colposo emesse in primo e secondo grado dai giudici di Reggio Calabria, per il rappresentante della committente dei lavori di allestimento del palco "F&P Group", Ferdinando Salzano, per il coordinatore della sicurezza per i lavori di costruzione della struttura, Sandro Scalise, e per il progettista Franco Faggiotto. Consapevoli dei rischi che avrebbero corso, a vario titolo sono stati loro – hanno messo nero su bianco i giudici -ad aver deciso di mettere in piedi una struttura che non si poteva montare in un palazzetto che non la poteva ospitare e che ha ammazzato un ragazzo di 31 anni. Morto di lavoro, o meglio ucciso dalle condizioni in cui è stato costretto a lavorare. Così stabilisce la sentenza, risultato di 8 anni di battaglie della madre di Matteo, Paola Armellini, che con le unghie e con i denti si è aggrappata alla promessa che si è fatta quando ha scoperto che suo figlio non c’era più: dare un senso a quella tragedia, fare giustizia, per lui, per tutti quelli come lui – gli invisibili del mondo dello spettacolo – troppo spesso messi a rischio da quello che viene chiesto loro di fare.
Articolo a Cura di: Gianluca Rota