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UN GESTO CHE VA OLTRE LA LOTTA AL RAZZISMO
Argomento di dibattito in questi caldi giorni estivi è il "caso" Black Lives Matter agli Europei. Attualmente è in corso una polemica relativa a un gesto effettuato da alcuni calciatori prima delle partite: è diventata consuetudine, infatti, per alcuni calciatori di varie nazionali, inginocchiarsi prima del fischio d’inizio in segno di solidarietà per il Black Lives Matter, movimento internazionale nato all’interno della comunità afroamericana con l’obiettivo di contrastare il razzismo. Il gesto di inginocchiarsi all’inizio di un match, noto in inglese come taking the knee, è diventato famoso con l’ex giocatore di football americano Colin Kaepernick, che nel 2016 si mise in ginocchio durante l’esecuzione dell’inno. Kaepernick disse che non poteva rimanere in piedi mentre suonava l’inno di uno Stato che opprimeva le minoranze. Il gesto ha assunto poi sempre più importanza, specie dopo l’omicidio di George Floyd, divenendo il simbolo del movimento Black Lives Matters. Nel calcio il gesto è stato prima adottato dalla Premier League, in Inghilterra, e poi via via da una serie di Nazionali.
Quanto alla selezione italiana, solo nella seconda partita del girone cinque giocatori – Belotti, Toloi, Emerson, Bernardeschi e Pessina – hanno deciso di inginocchiarsi. Negli altri tre match della competizione, tutta la squadra è rimasta in piedi. Ma lasciamo stare la Nazionale e le persone inadeguate ai loro incarichi che hanno gestito questa vicenda dando l'impressione di un certo provincialismo, di aver scoperto solo adesso cosa sia successo nel mondo e nello sport negli ultimi anni. Il dibattito sul Razzismo in Italia sta cominciando ad avvitarsi, mi pare. Se qualcuno vuole introdurre una legge contro il razzismo, si dice che non serve perchè il problema è culturale. Se qualcuno propone iniziative nelle scuole, si dice che si rischia l'indottrinamento. Se qualcuno propone un innocuo gesto simbolico, si dice che i simboli non servono. La cosa da fare è sempre un'altra: qualcuno potrebbe pensare che l'intenzione autentica sia non farne nessuna. C'è sempre un buon motivo per non fare niente. Forse pensiamo che siamo immuni, che il razzismo non ci riguardi. Che siamo l'unico popolo al mondo che non ha questo problema. Il tutto vivendo in una società quasi completamente bianca che si sente invasa da una manciata di disperati, e dove le poche persone non bianche raccontano ogni giorno le aggressioni grandi e piccole che subiscono. Pensiamo ci sia sempre un'altra spiegazione e non è mai razzismo per noi, mi pare.
A questo proposito, il film che consiglio è Green Book. La storia vera di un’amicizia tra un italo Americano, Tony Lip (Viggo Mortensen) e il musicista Don Shirley (Maherhsala Ali) ci racconta, attraverso il loro viaggio negli Stati Uniti, di un’America che negli anni ’60 era ancora segregata e dove gli afrocamericani dovevano, tra le altre cose, dormire in alberghi a loro riservati, elencati, appunto in un manuale di colore verde ( il green book del titolo ) . Premio Oscar come miglior film, come miglior attore a Maherhsala Ali e miglior sceneggiatura ai tre scrittori, tra cui c’è Nick Vallelonga che è il figlio di Frank Anthony Vallelonga: alias il Tony Lip di cui si racconta la storia.
"Il mondo è pieno di gente sola che ha paura a fare il primo passo.”
Articolo di Gianluca Rota